Vite e olivo sono, nella tradizione, coltivazioni tipiche del Chianti, un comprensorio di alte colline e monti dove il terreno faticosamente sottratto al bosco era usato con oculatezza per fornire i prodotti necessari alla sussistenza. Mentre il vino, di qualità rinomata e ormai affermato nel mercato mondiale, è oggi una preziosa risorsa per l’economia locale, l’olio, decisamente meno remunerativo, non riesce a sostenere una coltivazione che, con i vigneti, segnava in maniera identitaria il paesaggio chiantigiano.

La ricerca scientifica finora non consente di ricostruire nel dettaglio la fisionomia del paesaggio chiantigiano d’età antica, ma diverse testimonianze documentano l’uso fatto dagli Etruschi dei due preziosi liquidi che si ricavavano da vite e olivo. Per indagare il rapporto tra le coltivazioni delle due piante e le comunità umane che si sono succedute nel tempo l’Università di Siena ha intrapreso una ricerca, nel contesto regionale, che combina archeologia, storia, botanica, genetica, studio del paesaggio. Un sistema informativo che raccoglie i diversi dati comincia a delineare un nuovo scenario nel quale piante prossime a siti archeologici sono ancora testimoni di antiche coltivazioni.

Come per il vino e per le pratiche e i rituali connessi al suo consumo, anche la coltivazione dell’olivo arriva in Italia seguendo un percorso che ha origine nel Vicino Oriente, attraverso la mediazione di Micenei, Fenici e Greci.

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